Peter Jackson ha l'abitudine ormai dimostrata di fare film dalla lunghezza importante: dalla saga del Signore Degli Anelli, a quella de Lo Hobbit, passando per il suo King Kong.
Inevitabile quindi che, mettendosi a realizzare una serie tv per Disney + con il materiale audio e video dei Beatles registrato in vista di quel famoso ultimo concerto sul tetto della casa discografica (si parla di 150 ore di pellicola in totale), il risultato portasse a 3 maxi episodi di due ore e mezza ciascuno dove c'è tutto quello che accadde in quei giorni di preludio allo scioglimento ufficiale della band.
Scioglimento che a momenti arrivava ancora prima del previsto a causa del momentaneo e improvviso abbandono di George a causa della sua frustrazione per essere sempre quello che doveva fare come dicevano John e Paul, cosa che lo faceva sentire limitato nella creatività.
Da tale litigio è conseguito un distacco di George per una decina di giorni durante i quali era stato anche pensato di sostituirlo con Eric Clapton, ma per fortuna non fu necessario perché il giovane chitarrista un bel giorno riappare come d'incanto, forse anche grazie alla presenza di Ringo, ma questo lo vedremo più avanti.
La cosa bella del prodotto è che hai l'impressione di essere lì con loro mentre stanno provando e plasmando brani come Get Back e Let It Be.
Ok che magari non tutto può risultare interessante per un utente medio, però per me che con i Beatles ci sono cresciuto e adoro tuttora le loro canzoni e film per la positività che trasmettono, al contrario dei loro rivali Rolling Stones più votati ad un mood più cattivo, pessimistico e negativo, è stato come fare un viaggio nel tempo e ritrovarmi proprio in quel gennaio del 1969 insieme a loro (con Yoko Ono fra le balle, vabbè) che cazzeggiano, scherzano, ma anche si confrontano e se le dicono.
In tutto questo si nota come Ringo sia invece sempre stato molto al di fuori delle discussioni, mantenendo una posizione neutrale e presentandosi per primo alle prove pure dopo il fattaccio di George, anzi traspare da parte di Harrison per Ringo un vero rispetto ed amicizia (ecco quello che dicevo prima) che sembrano molto più solidi e sinceri che verso gli altri due, come nel momento in cui i due lavorano su Octopus's Garden appena accennata da Ringo al piano e George si mostra molto interessato risolvendogli tutti i passaggi successivi.
Negli studi dove i quattro (cinque con l'aggiunta di Billy Preston al piano elettrico) stanno registrando il loro ultimo album si nota più volte anche un giovane Alan Parsons che fa l'assistente di studio con la mansione di operatore ai nastri, proprio in quel posto che diverrà in seguito la fucina del suo Project.
Il finale della serie è lasciato all'esibizione integrale sul tetto interrotta dall'intervento di due bobbies, alla fine spalleggiati anche dal loro sergente, forse un po' troppo zelanti, dato che le impressioni raccolte in strada erano al 90 % positive per quel concerto a sorpresa, ma si sa che i rompimaroni ci sono sempre stati.
Concerto che era anche l'ultimo che li vedeva tutti insieme, e lo ammetto che dopo aver passato tutte quelle ore con loro che provavano, alla fine ero commosso anch'io, e a malincuore sono risalito lo stesso sul Tardis per tornare nel 2022, fra Covid-19 in risalita e inutili guerre volute da perfetti idioti che si trovano al governo.
Da tempo immemore Steven Spielberg raccontava a tutti che sognava di dirigere un suo West Side Story e alla fine sto matto l'ha fatto per davvero finendo anche nominato agli Oscar 2022, ma poi non si è portato a casa nulla.
Si aggiunga che il film del 1961 l'aveva diretto quel Robert Wise che con la fantascienza (come Steven) ha avuto diversi contatti come ULTIMATUM ALLA TERRA, ANDROMEDA, ed è stato pure sull'ENTERPRISE, per cui il cerchio si chiude.
Ma com'è la nuova versione?
Beh, se non fosse per la definizione dell'immagine e il suono, avrei giurato di vedere il film originale del 1961 perché, al contrario di altri casi di remake, l'ambientazione temporale è esattamente la stessa, senonchè poi ecco che ti arrivano i tocchi di classe di Spielberg con le sue luci piazzate come lui solo sa fare (E.T., Jurassic Park, Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo) e lo vedi nelle scene tipo il primo incontro di Maria e Tony sotto le gradinate
oppure nella chiesa, nel deposito del sale, ma comunque in ogni scena dove ci siano luci che non servono solo ad illuminare il set, ma che fanno davvero la scenografia e quando le vedi in mezzo ad un bosco in un altro film come THE ADAM PROJECT fanno esattamente il loro lavoro, cioè la citazione del maestro.
Lezione che anche J.J. Abrams con i suoi lens flare buttati a muzzo prova a mettere in pratica tutte le volte, ma il risultato non è mai come quello che si vede nei film di Spielberg.
Maestro che in effetti, se vogliamo dirla tutta, non ha sempre azzeccato i film negli ultimi anni, e rimettersi in gioco con un prodotto che risale al 1957, anno del musical e quindi con delle canzoni che suonano inevitabilmente mooolto datate, poteva apparire una scelta azzardata.
Ma io amo i musical e perciò non faccio testo, mentre conosco gente che gli viene l'orticaria appena in un film la gente comincia a cantare e ballare per la strada senza essere in un flash mob.
Ecco, per quelle persone West Side Story è da evitare come la peste anche se i numeri di ballo sono davvero perfetti
con le musiche originali leggermente riarrangiate, ma fondamentalmente restano quelle.
Quelle canzoni di cui parlavo prima sono comunque molto belle e famose (America, Maria, Tonight), anche se risalgono al 1957 e l'età la mostrano tutta per parecchi momenti sdolcinati e melodrammatici, mentre se prendi un'opera rock come Tommy degli Who regge già un po' meglio il passare degli anni perché l'ha detto anche Damiano dei Maneskin in diretta tv che "Rock'n'roll never dies".
La storia è un po' una Romeo E Giulietta in versione newyorkese, e lo si sapeva già dal 1957 questo, ma voglio precisare che parlando del classico di Shakespeare, secondo me non è il caso di fare il confronto con il bellissimo film di Baz Luhrmann con DiCaprio, che per me resta uno dei migliori film del regista australiano e rimane una cosa a sé stante per com'è portata ai tempi moderni mantenendo però il linguaggio aulico.
Qui gli antagonisti, invece di essere due famiglie, sono bande di ragazzi newyorkesi e portoricani come abbiamo già visto ne La Febbre Del Sabato Sera e le due fazioni si scontrano mentre fra Maria e Tony nasce un'amore che "non s'ha da fare".
Tutto secondo il copione e le usanze del cinema di un tempo, ma con tocchi tecnici che ti fanno capire che è una pellicola del 2021, tant'è che ci vedrei diretto proprio da Steven quello spot vintaggio-futurista della DAYGUM.Si, ma il resto del film?
Beh raga... quello ve lo guardate 😉 che tanto se conoscete Shakespeare...
E posso assicurare che le due ore e mezza non pesano per niente dato che, se la firma è di Spielberg, puoi stare certo che non viene fuori una roba brutta come CATS.
Credo che ormai sia un trend collaudato quello di Netflix di mettere sotto il suo marchio lavori che citano il mondo del cinema esplicitamente senza girarci troppo intorno, anche perché a girarci intorno si finirebbe nel plagio, mentre se durante i dialoghi nomini chiaramente la pellicola in questione allora si passa nella citazione se non addirittura nel metacinema dove la fantasia si fonde con la realtà, vedi, per esempio, Stranger Things.
È quanto accade in maniera per niente velata in The Adam Project dove, se nella tua vita hai passato qualche ora a visionare film di fantascienza, ti ritrovi a smarcare tutta una serie di citazioni a partire da Spielberg con E.T. per le scene iniziali nel bosco con la luce della torcia (quelle luci tanto care a Steven), per poi andare a capofitto in Ritorno Al Futuro e i paradossi temporali, Star Wars tra Capo Rosso e spade laser, Terminator, Avengers e pure Halo per il design delle armature.
Il cast funziona alla grande con un Ryan Reynolds mattatore, ma anche il giovane Walker Scobell non scherza, e i due sono pure azzeccati come versioni di loro stessi in anni diversi.
Ovviamente non si sta parlando di un film da Oscar (nemmeno da nomination), e apro qui una piccola parentesi sui premi che sono stati assegnati nella notte fra domenica e lunedì decretando vincitore CODA, che se dal titolo pare l'ultimo album dei LED ZEPPELIN, in italiano diventa I Segni Del Cuore e messo così ha l'aria di una fiction diretta da René Ferretti; spettacolo quello degli Oscar con ben poche sorprese, di cui la più clamorosa è stata lo schiaffone dato da Will Smith a Chris Rock per una battuta veramente cafona su sua moglie Jada, fatto di cui The Fresh Prince poi si è scusato (solo con l'Academy, non con Chris), e scusate pure voi che state leggendo, ma mentre tutti in tv fanno i buonisti condannando il gesto, io mi sento dalla parte di Will.
O, come alcuni sospettano, era tutta una farsa organizzata per far risalire gli ascolti dopo la picchiata degli anni precedenti a causa del Covid-19?
Mah... Può essere, d'altronde il cinema è finzione...
Di mio devo fare attenzione a non farmi divagare troppo, perciò insomma tutto l'insieme messo su per questo The Adam Project funziona e questo è quello che conta, eccezion fatta per la CGI che ringiovanisce con effetto da cartone animato in 3d.
Divertente anche la battuta di Mark Ruffalo a riguardo di una felpa indossata da una studentessa con Nick Cage raffigurato e sotto di lui la scritta John Travolta, così anche Face Off è servito.
Sorpresona a livello di soundtrack è stata sentire Foreplay/Long Time dei Boston nel momento clou del film (anche se rimane un po' confusa nella baraonda e per come è stata editata), tant'è che poi mi aspettavo anche More Than A Feeling in chiusura che invece non è arrivata, ma va bene così dato che quella canzone meravigliosa ha già sottolineato diverse pellicole precedenti, e a sto punto qui con il riciclo da altri film ormai eravamo veramente a tappo.
Shawn Levy torna a lavorare con Ryan dopo il divertente FREE GUY prendendo in mano un film ideato ben 10 anni fa e il cui protagonista era stato pensato essere Tom Cruise, probabilmente contando su un'interpretazione tipo Innocenti Bugie, il divertente film con Cameron Diaz.
Difficile però immaginare adesso, dopo averlo visto, un Adam diverso da quello portato in scena da Reynolds che qui riprende lo stile chiacchierone di RED NOTICE senza finire però sullo sboccato logorroico di DEADPOOL.
Jennifer Garner e Zoe Saldana completano il cast, ma non sono così fondamentali perché al loro posto poteva esserci chiunque altra con un phisique du role adeguato.
Se si può trovare un vero difetto, questo risiede a volte in una troppa rapidità, frettolosità per come si succedono gli eventi (forse sono stati sforbiciati alcuni minuti?), per cui pare strano dirlo in un periodo in cui tutti i film debordano fastidiosamente sulle due ore e mezza, ma su questo che conta un'ora e 45 minuti, una buona mezz'ora in più per delineare meglio tutto quanto, forse stavolta sarebbe stata l'ideale.
Serata piena di commozione lo scorso sabato 26 marzo a Londra, quando Phil Collins a 71 anni ha dichiarato pubblicamente alla fine del concerto che quella sarebbe stata l'ultima volta che si esibiva (anche se già a dicembre dello scorso anno l'idea era già saltata fuori), poiché le sue condizioni di salute non gli permettono di continuare a sostenere lo sforzo necessario per altri concerti, anche se da tempo a sostituirlo alla batteria è suo figlio Nic, mentre fino al 2007 si smezzava i tamburi con Chester Thompson, lo storico "doppio" che ha sempre accompagnato dal vivo i tre Genesis rimasti, insieme a Daryl Stuermer, bassista e chitarrista, dopo l'addio di Gabriel e HACKETT.
Lo schiacciamento delle vertebre provocato proprio dal suonare la sua batteria, e i successivi interventi chirurgici piuttosto invasivi, ma necessari per evitare una paralisi, non gli permettono più di tenere le bacchette in mano per pestare sui suoi tamburi né di stare in piedi, infatti negli ultimi concerti Phil cantava sempre da seduto, non riuscendo più nemmeno a reggersi con il bastone.
A malincuore quindi COLLINS ha deciso di lasciare la storica band e, scherzando, ha detto che adesso dovrà cercarsi un lavoro vero, perché è ben nota la considerazione che molti hanno della professione del musicista, cioè che non sia una vera professione; non sanno, gli stolti, quanto lavoro ci sia dietro i 4 minuti standard di una canzone, per non parlare dell'organizzazione di un concerto live e della sua esecuzione.
Phil invece lo sa bene e ci si è giocato la salute.
Certo è che, da buon papà di 5 figli, potrà comunque seguire la carriera sia di Nic che di Lily, ormai affermata attrice.
Nel nostro cuore naturalmente speriamo tutti che, in un modo o nell'altro, Phil rimanga sempre nel giro della musica poiché quello che ci ha dato, con le band (plurale perché aveva infatti coltivato anche la sua passione per il jazz con i Brand X negli anni 70 e poi nei 90 con una Big Band con la quale aveva riletto i suoi successi in chiave strumentale) e da solista, ha fatto la colonna sonora di una cinquina di decadi che, personalmente, non riesco ad immaginare come sarebbero state senza il suo apporto.
Al momento non è dato di sapere se Banks e Rutherford porteranno avanti la band lo stesso come alla fine degli anni 90 quando Collins aveva momentaneamente mollato, non per motivi di salute, e al suo posto di vocalist era subentrato il giovane, ma poco gradito, Ray Wilson, il quale però aveva forse più affinità con il timbro caldo di Peter Gabriel, piuttosto che quello più squillante di Phil, come viene dimostrato in questo live al fianco di Steve Hackett dove esegue benissimo la monumentale THE CARPET CRAWLERS,mancando però in lui del tutto il lato carismatico che invece in Peter fa la differenza quando sta sul palco, e che invece il vocalist ufficiale di Hackett, NAD SYLVAN, ha perfettamente inglobato dentro di sé.
E per conto mio sono contento di aver visto ancora in splendida forma Collins con i suoi Genesis dal vivo nel lontano 1992 con il THE WAY WE WALK TOUR.Tieni duro Phil!
Certo un brutto weekend questo dove anche la domenica di questo blog segna, purtroppo, un doveroso addio, stavolta nel cinema, poiché ieri ad 81 anni se ne è andato anche Gianni Cavina, malato da tempo, bravissimo attore bolognese prediletto di Pupi Avati che ha lavorato con lui una ventina di volte fra cinema (La Casa Dalle Finestre Che Ridono, LA MAZURKA DEL BARONE, DELLA SANTA E DEL FICO FIORONE, Regalo Di Natale) e serie tv.
Proprio Jazz Band, miniserie di tre episodi realizzata per la Rai nel 1978 con, fra gli altri, Lino Capolicchio e Carlo Delle Piane, me lo aveva fatto conoscere sebbene non amassi particolarmente quel genere di musica, ma lo sceneggiato (allora si chiamavano così) era anche divertente e forse dentro di me era entrato un po' lo spirito di Scat Cat degli Aristogatti, dove TUTTI QUANTI VOGLION FARE IL JAZZ,film Disney che adoro e di cui temo la nuova versione in CGI che sarà inutile come tutte le altre rifatte finora.
Anzi, posseggo pure il libro-disco
che, oltre alla storia raccontata, contiene anche la famosa canzone SCALE E ARPEGGI.E vogliamo parlare del tipo di disegno caratteristico disneyano, marchio vero e proprio di una scuola che si vede come nello stupendo Robin Hood, e La Carica Dei 101, e Il Libro Della Giungla?
Ma torniamo al motivo del post di oggi per cui non mi dilungo più del dovuto, perché sennò poi divago come al solito saltando di palo in frasca (come ho appena fatto) e concludo semplicemente dicendo che Gianni, nonostante i problemi di salute, era stato ancora un'ultima volta sul set con Pupi per il suo ultimo film Dante che uscirà il prossimo settembre. Addio Gianni.
Gran botta nel mondo musicale per la scomparsa di Taylor Hawkins, 50 anni, batterista dei Foo Fighters,
trovato senza vita un'ora prima di un concerto che avrebbe dovuto tenere a Bogotà, per cui i fans della band accorsi ne hanno avuto notizia direttamente dal palco dove sono state accese delle candele per ricordarlo.
I Foo Fighters, per chi non lo sapesse (credo pochi), sono in pratica lo spinoff dei Nirvana creato dal loro batterista Dave Grohl, che però nel nuovo gruppo suona la chitarra e canta, e la produzione musicale si discosta decisamente dal sound grunge e pessimistico del gruppo di Cobain.
Per questo, dopo un primo album a nome di Foo Fighters, ma praticamente suonato tutto da Dave, Taylor era stato assunto in pianta stabile come membro della band a partire dal terzo lavoro There Is Nothing Left To Lose.
Voglio ricordare Taylor Hawkins con una delle canzoni dei Foo Fighters che preferisco e, sarò banale, ma si tratta di LEARN TO FLY,un pezzo che quando me lo sparo in macchina mi fa alzare sempre il volume a palla, corredato da un videoclip favoloso, divertentissimo, e con una notizia così ci vuole davvero un po' di ottimismo e di energia.
E no... Non è mica più il 2021, così pieno di trionfi azzurri, dall' Eurovision alle Olimpiadi, fino agli Europei vinti sugli inglesi che se la son presa tantissimo e gli è rimasta qui.
Difatti siamo nel 2022 (come ha sottolineato anche Salvini parodiato divinamente da Crozza) e le cose stanno girando un po' male per tutto, per la guerra di cui se ne faceva volentieri a meno, per il Covid-19 che ha avuto una nuova impennata dei contagi, e anche per la Nazionale di Mancini trionfatrice la scorsa estate, mentre quest'anno pare essere alla frutta 😜, anzi (è troppo facile, ma è così) Macedonia, squadra che ieri sera ha decretato l'esclusione dei nostri dai prossimi mondiali in Qatar.
Cosa non ha funzionato?
Non spetta certo a me dirlo, mica sono un tecnico calcistico eh... Io al massimo so fare la Rotta di Kessel in meno di 12 parsec.
Di sicuro so che dei prossimi mondiali non vedrò nemmeno una partita, come già accaduto pochi anni or sono, che già del calcio in generale il mio interesse è pari a zero, ma, se capita, una birretta fresca con gli amici d'estate te la fai tifando per gli azzurri.
Stavolta invece le partite si faranno pure in inverno come accadeva in quel film che si chiamava LA GUERRA DI Domani, perciò cosa ci beviamo? Un vin brulè? Fai te...
Buon per me, così in quelle sere in cui la tv trasmetterà partite inutili, mi dedicherò a cose molto più interessanti.
Qualsiasi altra cosa sia, anche il ricamo a punto croce.
Greg Daniels è l'autore del fortunato remake americano di The Office, che all'inizio, bisogna dirlo, non funzionava benissimo, ma poi è decollata modificando un po'qui e là e in particolare il carattere del capufficio interpretato da Steve Carell; Greg ha tirato fuori un paio di anni fa quest'altra serie che, nonostante verta sul tema dell'aldilà, è molto divertente e innovativa per cui ne AVEVO PARLATO in termini entusiastici.
Purtroppo non riesco ad essere dello stesso parere per la seconda stagione che, vuoi forse per il mancato effetto sorpresa, pare ritorcersi un po' su se stessa cercando di portare alcuni elementi nuovi, anche in termini di personaggi, come la nuova stagista e il gruppo di ribelli, creando però anche confusione in una trama che prima scorreva abbastanza lineare.
Anzi, in rete si è già parlato anche della Sindrome di Harry Potter che sembra affliggere anche questo prodotto, cioè che dopo le prime due divertenti avventure del maghetto dirette da Chris Columbus, il tono dei film diventava via via più cupo fino a toccare l'horror, come qui invece le gag quasi demenziali della prima serie lasciano più spazio a momenti di tensione.
Con le nuove avventure si moltiplicano così anche i momenti reali/virtuali in cui i personaggi interagiscono, momenti realizzati magistralmente con le migliori tecniche digitali disponibili da una parte e un abile montaggio al millesimo di secondo dall'altra, il che è una nota di merito.
Sarà però per colpa di quel finale lasciato in sospeso (ancora di più che nella prima stagione) a preannunciare una terza, ma l'ho terminata questa solo perché mi ero affezionato ai personaggi, però con dentro una fastidiosa sensazione di insoddisfazione.
Fastidiosa come la trovata (orrida) del bebè digitale.
100 anni per Ugo Tognazzi sono una bella età, che comunque se la porta bene, dato che la sua immagine è per l'eternità fissata nelle pellicole che ha interpretato, per cui per noi è un po' come se non se ne fosse mai andato, ma piuttosto ritirato a godersi una meritata pensione, chesso?, su una galassia lontana lontana.
Anche su queste pagine Tognazzi l'ho nominato alcune volte, sia lui che i suoi film, tipo in occasione di un ANNIVERSARIO di Lucio Dalla e parlando di BARBARELLA con Jane Fonda.
Quell' Ugo che, a causa di una gag sull'allora presidente della repubblica Giovanni Gronchi durante un programma sulla Rai con il suo partner Raimondo Vianello, venne bandito dalle trasmissioni.
Poco male, perché così si è dedicato interamente al cinema dove debuttó nel lontano 1950 producendo una mole enorme di lavori che vanno dalla commedia al drammatico.
Dato che la presa diretta del suono non era sempre così perfetta, o in altri casi se il prodotto era destinato anche al mercato internazionale si recitava in inglese, i film venivano ridoppiati quasi sempre dagli stessi attori, tranne che nei numerosi casi di una bella presenza, non supportata da una voce adeguata (attrici italiane che parlano con la voce di Rita Savagnone, per dire, ce ne sono un sacco), ma nel caso di Ugo il problema non si poneva, per cui si è sempre autoridoppiato, tranne che nel film del 1955 La Moglie È Uguale Per Tutti dove aveva la voce di Carletto Romano.
Ho cercato lumi in proposito, ma non ho trovato spiegazioni a riguardo.
Anzi se qualcuno sapesse il motivo di tale scelta gliene sarei eternamente grato.
Concludo il post dedicato ai 100 anni di Tognazzi con (prevedibile, lo so, ma lo adoro) una serie di estratti da quel cult che è AMICI MIEI.
Remake di un film del 1947 con Tyrone Power tratto da un romanzo dell'anno precedente che già allora era stato tradotto con questo titolo e dove Guillermo Del Toro mette anche il suo attore feticcio, cioè Ron Perlman per una manciata di minuti, insieme ad una serie di nomi come Bradley Cooper, Cate Blanchett, Rooney Mara, Toni Collette e Wilhem Dafoe.
Proprio Wilhem con il suo discorso su come creare un uomo bestia da esibire sarà il punto cardine del film, anche se lì per lì quasi non ci pensi.
Bradley, che dal canto suo all'inizio pare fare lo screen test per Indiana Jones,
passa dallo sporco ambiente baracconesco dove ci sono donne elettriche, nani, forzuti e uomini pelosi, che curiosamente ti pare di essere in FREAKS OUT, ai set patinati della seconda parte del film, tipo Il Grande Gatsby, dove, grazie agli insegnamenti ricevuti, si propone come uno di quei mentalisti che fanno tanto spettacolo a Italia's Got Talent,
facendosi però prendere un po' troppo la mano dai consensi ricevuti e, nonostante gli avvertimenti, oltrepassando un limite che si rivelerà fatale.
Quel limite oltre al quale puoi trovare ad aspettarti la tua natura di bestia.
Grande lavoro di fotografia come sempre per Guillermo, ed ho ritrovato con piacere, anche se per pochi minuti, Mary Steenburgen, la viaggiatrice del tempo in ben due film, uno famosissimo come Ritorno Al Futuro Parte III e l'altro un po' meno conosciuto, ma molto bello cioè L'UOMO VENUTO DALL'IMPOSSIBILE con Malcolm McDowell.
In conclusione, già che siamo finiti a parlare di viaggi nel tempo, pubblico un piccolo omaggio al film del 1947 con la fotobusta originale di La Fiera Delle Illusioni
con Tyrone Power alle prese con l'uomo forzuto dal bicipite importante.
Non è un nome famosissimo Peter Bowles, attore shakespeariano mancato in questi giorni ad 85 anni a causa di un cancro,
per cui la sua dipartita non ha avuto un grande riscontro nei media, ma io, oltre a notare in lui una spiccata somiglianza con Aldo Tagliapietra delle ORME, l'ho incontrato più volte in alcune produzioni british che prediligo e di cui ho già parlato qui, per cui per me ha un valore tutto speciale dato che l'avevo visto per la prima volta in SPAZIO 1999 dove era Balor, il dinerovestito protagonista guest star dell'episodio FINE DELL'IMMORTALITÀ dove recitava sulle zeppone per apparire più alto, scoprendo poi che appariva anche ne IL PRIGIONIERO (Dormire, Forse Sognare) e in AGENTE SPECIALE (Fuga Nel Tempo - stagione 5) in ruoli secondari e pure in ASSASSINATION BUREAU, divertente e bizzarro film dove di nuovo faceva bella mostra di sé Diana Rigg l'ex Emma Peel di AGENTE SPECIALE e Peter lo si vedeva in una breve scena.
Più risalto invece aveva avuto in Blow Up di Antonioni dove era Ron, l'amico del protagonista.
Ma la cosa più particolare su Peter è che molti dei film da lui interpretati sono stati tradotti in italiano con quei titoli evocativi frutto della fantasia scatenata dei distributori italiani tipo Il Ragazzo Ha Visto L'Assassino E Deve Morire (Eyewitness), Riflessi In Uno Specchio Scuro (The Offence), Champagne Per Due Dopo Il Funerale (Endless Night), ...Unico Indizio Un Anello Di Fumo (The Disappearance).
Poi, in tempi recenti, Peter aveva partecipato anche alla serie tv Victoria.
Sempre per il cinema dobbiamo dare l'ultimo addio ad Akira Takarada, scomparso ad 87 anni, attore giapponese legato principalmente ai film di Godzilla diretti da Ishiro Honda,
tipo quel L'INVASIONE DEGLI ASTROMOSTRI che non nominava il lucertolone nel titolo, ma il pupazzone con l'omino dentro che lo animava appariva anche lì, dove Akira interpretava un astronauta in missione con un collega americano che assomigliava incredibilmente a qualcuno molto noto ultimamente:
proviamo a indovinare?
Akira, come per confermare il suo legame con il genere Kajiu, era apparso anche in un cameo nel GODZILLA di Gareth Edwards.
Un fanta-addio quindi a Peter e Akira ed un grazie per il loro apporto ad un genere che prediligo.
Dopo tanti anni da quel famoso film del 1974 faticosamente portato a termine nonostante i disagi tipo la corrente elettrica insufficiente e il troppo poco materiale girato a causa anche di bobine andate perdute, e dove per allungare il brodo sono riusciti anche a metterci un cane che canta (giuro!), quel film voluto da un regista (Adrian Maben) più fuori di Syd Barrett e che in Italia portava il titolo di Pink Floyd A Pompei, David Gilmour è tornato (non più a torso nudo) nel 2016 sul luogo del misfatto con un concerto solista, stavolta con pubblico incluso, nel quale ha presentato gran parte della sua produzione solista e alcuni dei brani pinkfloydiani in cui la sua mano chitarristica ha avuto più peso.
Perciò niente mattoni nel muro e cori di scolaretti per stavolta, ma comunque grande musica in collaborazione con una band che, fra gli altri, vede al basso il fido Guy Pratt, ex componente degli Icehouse con lui dai tempi di quel TOUR DEL 1988 visto e amato, e Chuck Leavell degli Allman Brothers alle tastiere e voce, con il quale David si divide COMFORTABLY NUMB, questa si, da The Wall.
Rispetto ai tour precedenti, invece delle solite tre voci femminili stavolta a due nuove coriste si aggiunge un elemento maschile che rende bene in diversi brani, ma francamente l'esecuzione di THE GREAT GIG IN THE SKY
divisa fra di loro a me fa rimpiangere parecchio Clare Torry o perlomeno le tre voci che accompagnavano David in precedenza, ma ho anche sentito pareri di gente che apprezza parecchio questa versione, per cui magari son solo io che son strano.
Per il resto il concerto porta le emozioni che promette con anche un light show notevole, con l'unico rammarico che la versione su Raiplay è una riduzione a soli 58 minuti per cui sono stati tagliati via brani come One Of These Days e Run Like Hell.
Vabbè...
Se penso che per andare a vederlo a Pompei avrei dovuto pagare un biglietto tutto matto di 300 euro, allora mi sta bene così 😊.
Inoltre, come hanno riportato le cronache nei giorni scorsi, mentre Putin dalla sua ha portato in scena uno show propagandistico in grandissimo stile (si dice con pubblico pagato o obbligato a sorridere e sventolare bandiere), anche i superstiti dei PINK FLOYD hanno aderito alla protesta multimediale contro di lui rimuovendo in toto dalle piattaforme streaming russe tutta la loro musica, mossa che, insieme a tutte le altre restrizioni del world wide web che gli sono piovute addosso, continua quel processo di isolamento della Russia idealmente rinchiusa un una bolla fuori dal tempo come la guerra che sta conducendo.
Come dire che a colpi di click forse speriamo di contrastare anche i colpi di cannone.
Oggi per la Festa Del Papà mi viene da ripescare un film che racconta del rapporto difficile tra padre e figlio, ma senza andare sul melenso strappalacrime, anzi, con robottoni che si menano, il che mi fa solo che gongolare.
È Real Steel, film della DreamWorks con Hugh Jackman meno muscolare del solito, il cui soggetto arriva da un episodio di AI CONFINI DELLA REALTÀ (Acciaio nella quinta stagione) a sua volta tratto dall'omonimo racconto di Richard Matheson, uno dei miei scrittori di fantascienza preferiti, ed episodio dove la guest star era Lee Marvin.
Il film ha diversi punti di contatto con Over The Top con Sylvester Stallone, ma invece che di braccio di ferro si parla di incontri di boxe particolarmente cruenti, e qui entra in gioco anche Rocky, ma con la differenza fondamentale che qui però sul ring salgono solo dei robot telecomandati,
tipo Robot Wars il programma che andava in onda su Italia 1; qui però i robot non sono delle scatolette accessoriate di sega circolare, ma sono umanoidi come i Transformers, cosa resa possibile grazie agli effetti speciali della Weta Workshop, al momento attuale uno dei migliori produttori di CGI nel cinema e già all'epoca del film aveva sfornato un ottimo lavoro.
Come capitava a Stallone, anche a Hugh succede di ritrovarsi ad avere al fianco un figlio a sorpresa durante i suoi viaggi per spostarsi nei luoghi dove si disputano gli incontri, unica sua fonte di guadagno.
Il figliolo è un ragazzo caparbio e dotato di ingegno
che recupera in una discarica un vecchio modello di robot (anche se non si capisce come abbia fatto a riportarlo su da solo dal profondissimo baratro dove giaceva) e lo rimette in sesto per suo padre per permettergli di continuare a disputare gli incontri dopo che il suo ultimo, avanzatissimo acquisto è stato malamente distrutto, scoprendo di avere con la macchina una particolare connessione.
So che a parecchi non era piaciuto proprio per i riferimenti troppo marcati ai predecessori stalloniani, e invece io, da buon bastian contrario, l'ho gradito molto e lo segnalo per chi ancora non l'avesse visto.
E, ricordando che anche al mio papà piaceva guardare la boxe in tv, ma era tutt'altro che un tipo che menava le mani, se non per assestarmi dei dovuti, meritati scappellotti in giovane età, mando i miei auguri a tutti i papà.
La mia astinenza da DOWNTON ABBEY, di cui arriverà tra breve il secondo film, mi ha portato a vedere su Sky questa serie ambientata negli anni 20 del dopoguerra (più o meno stesso periodo appunto dell'inizio della serie british), in cui una signora inglese ristruttura una villa a Portofino per trasformarla in un albergo dove vanno a soggiornare i suoi conterranei e anche alcuni italiani che con gli abitanti del Regno Unito hanno contatti e relazioni.
La signora è interpretata da quella Natascha McElhone che abbiamo tutti visto armata di tutto punto al fianco di Robert DeNiro in RONIN, ma qui non ci sono inseguimenti frenetici in auto e sparatorie.
La nostra Natasha qui si porta in giro un'aria perennemente tra la sorpresa e la svampita persino quando riceve la visita comprensiva di minaccia da parte di un rappresentante del partito fascista che imperava in quel periodo.
Con Downton Abbey ho trovato molti, anzi troppi punti di contatto, al limite del plagio se vogliamo dirla tutta, come l'anziana zia, anche se ben più giovane di Maggie Smith, e peccato che tutto prenda in breve tempo la piega della soap opera, ma d'altronde me lo dovevo aspettare in un prodotto dove nel cast appaiono anche Daniele Pecci specializzato nelle fiction televisive, e Lorenzo Richelmy, reduce da quella gran brutta cosa che era IL TALENTO DEL CALABRONE.
Giochi, quelli nel titolo del post, particolari come i ricordi particolari che ho su questo film con Corinne Clery (futura Bondgirl) e UDO KIER, che usciva nelle sale italiane nel 1976 con, chiaramente, il divieto ai minori di 18 anni, e le cui locandine già abilmente modificate coprendo graficamente i seni, venivano esposte comunque ulteriormente censurate (che non si sa mai) piazzando la striscia con la scritta riportante il divieto proprio in quel punto lì, e, prima di vederlo sto film, ricordavo anche foto poco esplicative mostrate su quelle che vengono definite "fotobuste" (se siete appassionati di cinema vintage sapete cosa sono), con immagini tipo dei pavimenti a scacchi di palazzi antichi e costumi che parevano medievali.
Ma attenzione: non si trattava di porno da cinema a luci rosse, assolutamente no; era quel filone erotico raffinato che film come Emmanuelle, dello stesso regista Just Jaeckin, avevano già portato nelle sale ufficiali nei primi anni 70.
Ricordo anche che conoscevo già la colonna sonora di Pierre Bachelet che era trasmessa alla radio nella VERSIONE DEI LOVELETS e, dato che mi piaceva un sacco, da lì l'avevo registrata con il Philips K7,
se ricordo bene durante i Dischi Caldi di Giancarlo Guardabassi, con quel suo microfono in dotazione che non dovevi assolutamente toccare sennò rimanevano rumori orribili nella registrazione. Poi, nemmeno tanti anni dopo, un bel giorno sul settimanale che riportava i programmi tv leggo che Histoire D'O sarebbe andato in onda a notte tarda su una tv locale (urca!), così approfittando del sonno profondo della mia famiglia quella fatidica notte mi sono approcciato alla visione sull'unica tv che avevamo (adesso non sarebbe certo così dato che siamo pieni di "black mirrors" in ogni casa), ma mi andava bene anche se lo vedevo in bianco e nero e col volume bassissimo per non farmi beccare, perché non volevo far la figura di Faletti che cerca le donne nude o di Paolo Villaggio sorpreso abbracciato alla tv.
Ed è allora durante la visione che ti scopro che di storia medievale non c'era nulla, ma solo certi costumi e accessori che un po' si riferivano a quei tempi andati, e per contro c'erano tante altre cose che lì per lì, data la mia giovane età, non mi erano del tutto chiare, tipo se una tizia sta con tizio (l'Amante),
perché tizio la manda in quel posto lì dove le mettono le catene e poi perché tizio la cede a caio (Sir Stephen), che poi c'è anche sempronio (Pierre e non solo lui) che sarebbe interessato?
Insomma sulle pratiche sadomaso di dominazione e sottomissione non sapevo ancora nulla per cui questo è stato il mio primo approccio abbastanza confuso con tale argomento, confuso forse anche per il modo clandestino in cui lo avevo visto.
Allora sai cosa ho fatto?
Mi sono comprato il libro da cui il film è tratto, un romanzo di Pauline Reage, e lì ho trovato che le cose erano un po' più approfondite con anche un finale diverso rispetto al film.
Nel pieno degli anni 80 poi il film sarà pubblicato in VHS e nei 90 arriverà anche il dvd grazie ai quali potrò godere anche del colore e della versione integrale.
Adesso lo so che qualcuno potrà pensare male (pervertito!), visto l'argomento, però secondo me il film è molto bello e realizzato con garbo anche se mette in scena cose che possono apparire disturbanti forse ancora di più di certi film di Pasolini.
Anzi, la fotografia patinata e l'atmosfera generale lo rendono migliore persino di prodotti più recenti tanto osannati, ma che dopo averli visti dici "evabbe", come le mirabolanti avventure di Christian Grey, per dire.
Da evitare come la peste invece il secondo capitolo dal titolo Histoire D'O Ritorno A Roissy del 1984 che non presenta nessuno degli interpreti originali ed è solo in parte ispirato al secondo romanzo della Reage, sconfinando subito sul porno di bassa lega, ma per dovere di cronaca e per curiosità ho sopportato (ma veramente sopportato) di vedere anche quello e non lo farò mai più.
Ispirato sempre allo stesso secondo capitolo so che esiste anche il franco-nipponico Les Fruits De La Passion, del 1981 con Klaus Kinsky, che si racconta sia leggermente più vicino al romanzo, forse perché oltre ad O torna, come nel libro, anche la figura di Sir Stephen, assente nell'altro sequel, cioè colui dal quale lei dipende, ma, non avendolo mai visto, non posso esprimere un parere a riguardo.
Ma già il fatto che Corinne non sia nel cast non depone a suo favore.
Serie antologica cioè con episodi autoconclusivi come in BLACK MIRROR tratta da una serie di racconti di Philip K.Dick, l'autore di Cacciatore Di Androidi (Do Androids Dream Of Electric Sheep?) che forse dagli anni 80 è meglio conosciuto come BLADE RUNNER, ma successivamente verrà ripubblicato con la traduzione letterale del titolo originale.
È conosciuta anche soltanto come Electric Dreams, ma probabilmente l'aggiunta del nome dello scrittore è stata decisa per non far pensare ad un riferimento alla famosa e omonima commedia anni 80, ormai vintaggissima, con le canzoni di Giorgio Moroder e Culture Club.
L'avevo lasciata in sospeso la serie (non ricordo il perché) su Prime Video dopo aver visto solo un paio di episodi due o tre anni fa e non ricordavo nemmeno il particolare che il secondo episodio cominciava proprio con la Russia coinvolta in una guerra nucleare insieme a Stati Uniti e Cina (sperando che non si avveri, ma, paradossalmente, con il moscio nonno Biden forse siamo meno in pericolo che con il suo focoso predecessore), e quelle immagini delle città distrutte dai bombardamenti diventano così attuali adesso, ma pensa che la serie è del 2017.
Ripresa adesso (fa un po' specie vedere ancora il vecchio logo di Amazon) l'ho trovata molto bella anche per la presenza di attori come Anna Paquin, Bryan Cranston (che è anche produttore), Steve Buscemi, Janelle Monae,
ottimi effetti speciali, come la città in stile Blade Runner del primo episodio, e temi d'attualità in racconti che il nostro amico scrittore aveva pubblicato precedentemente su alcune riviste di fantascienza poi riuniti in un unico libro.
Si parla ovviamente di intelligenze artificiali, androidi, alieni, realtà virtuali e quant'altro in 10 episodi quasi tutti sullo stesso livello, al contrario di altre serie antologiche dove tanti sono solo dei filler.
E, almeno per ora, non risentono degli anni che hanno, che non sono molti, è vero, ma ho visto altri prodotti più recenti che sapevano già di stantio appena usciti.
Eh si, la notizia della scomparsa di William Hurt a 71 anni è stata una bella doccia fredda, ma perlomeno pare sia avvenuta per cause naturali e non per il solito maledetto Covid-19.
Di William ho già citato più volte la sua partecipazione ad un film bistrattato dalla critica, ma che a me e a pochi altri è piaciuto, ed è LOST IN SPACE, ma ovviamente Hurt è da ricordare per tutta una serie di titoli premiati come Il Bacio Della Donna Ragno e Figli Di Un Dio Minore.
Personalmente l'ho apprezzato anche in Stati Di Allucinazione di Ken Russell (il suo debutto nel cinema non proprio in tenera età) e anche diretto da Woody Allen in Alice, commedia dove tradiva Mia Farrow, moglie che acquisisce il potere di diventare invisibile.
Ma è pur questa la grandezza di un attore, cioè di saper passare da un ruolo all'altro restando credibile invece di fossilizzarsi su uno standard come tanti suoi colleghi, dando anche il suo apporto al grande calderone della Marvel.
Un addio anche nella musica va dato a Timmy Thomas, perché è deceduto a 78 anni l'interprete e autore di WHY CAN'T WE LIVE TOGETHER(ma forse è il titolo della sua canzone ad essere molto più famoso di lui in effetti), disco del 1972 nato in occasione della Guerra del Vietnam dalla particolare atmosfera minimalista e drammatica (suonato solo con una drum machine e un organo elettrico) e che veicola un messaggio di fraternità universale che servirebbe davvero adesso, ma ai russi ormai abbiamo tolto ogni piattaforma multimediale perciò mi sa che sono destinati a vivere reclusi nel loro "piccolo" mondo all'oscuro di tutto, anche di Timmy Thomas e della sua preghiera di far sparire tutte le guerre.
Del brano ricordo con piacere anche una COVER che Sade ha realizzato negli anni 80 con un arrangiamento più ricco.Piacere anche visivo perché la cantante anglo-nigeriana in quella decade è stata una delle più belle rappresentanti del panorama musicale che non era rappresentato solo dalla new wave, ma anche da smooth jazz e simili generi raffinati, ed è tuttora una bella donna.
Sempre nella musica, a 50 anni un carcinoma dell'esofago ci ha portato via anche TRACI BRAXTON,sorella della più famosa Toni (quella della hit anni 90 Un-Break My Heart), facente parte di una famiglia interamente votata alla musica come lo erano i Jacksons di Michael, Tito, Chico, Harpo e Groucho... o era qualcosa del genere.
Fatto sta che la Braxton Family aveva realizzato nella scorsa decade anche un reality show per la tv tutto incentrato su di loro, ma, per quanto ne so, prodotto sconosciuto in Italia.
Dalla tv in bianco e nero arrivano invece dei ricordi legati agli sceneggiati firmati da Biagio Proietti come il giallo Lungo Il Fiume E Sull'Acqua, quello con la splendida VINCENT di Don McLean come sigla,e il misterioso Ho Incontrato Un'Ombra, dato che anche il regista (all'epoca solo sceneggiatore) è scomparso all'età di 81 anni
dopo aver tentato anche la strada della regia nel cinema con la commedia leggera tipo Chewingum e Puro Cashmere.
Un addio collettivo finale a tutti e grazie per quello che ci avete lasciato.
Non comincia benissimo questo secondo film di Gabriele Mainetti dopo l'osannato Lo Chiamavano Jeeg Robot; no, perché Aurora Giovinazzo, ragazza elettrica con la lampadina accesa in bocca non può non farmi pensare a zio Fester facendomi anche sogghignare e pensare "eccallà".
Per fortuna sono solo i primi minuti di Freaks Out, cioè quelli in cui Israel (Giorgio Tirabassi) presenta il suo scalcagnato circo di fenomeni con anche il nano magnetico, il ragazzo degli insetti e l'uomo peloso forzuto.
Poco dopo parte un bombardamento apocalittico (e in questi giorni per alcuni cittadini dell'est sarà anche ordinaria routine quotidiana, purtroppo) e tutto prende una piega diversa.
Non sto a raccontare il film perché è un bene scoprirlo da soli, ma dico solo che contiene tutto quello che un buon film deve contenere: azione, sentimento, effetti speciali fatti bene e, soprattutto Franz, un cattivo che non è una macchietta, ma anzi tiene la scena e sa fare paura anche a te che stai guardando per la quantità di cattiveria che sprizza fuori.
Cattivo nazista contornato dalle truppe che invadono Roma durante la guerra e deportano gli ebrei come Israel verso i campi di concentramento.
Quindi violenza tanta e senza nemmeno troppe censure, che forse invece potevano starci su un paio di cose tipo il coito di Claudio Santamaria con la donna pelosa e il pisello del nano a penzoloni.
Ma alla fine sono dei particolari di cui ti dimentichi presto in favore di una storia che ti prende dentro per come è recitata benissimo da tutti, e purtroppo in troppi film capita il contrario.
Proprio Claudio, anche se irriconoscibile, offre una splendida prova attoriale da burbero con il cuore d'oro (ma continuo a considerare pessimo il suo doppiaggio del Bruce Wayne di Nolan), come è bravissima anche Aurora nei suoi pianti disperati.
Notevoli le versioni riarrangiate di Sweet Child O'Mine e di Creep, e, a proposito dei Radiohead, secondo me Mainetti ha citato anche il videoclip di NO SURPRISES durante l'esperimento dell'uomo con le presunte branchie.Forse solo la durata di due ore e mezza è un po' dura da reggere, specie sul finale con una battaglia parecchio confusa a vederla dal di fuori, ma probabilmente ad esserci dentro sarebbe stata anche peggio e, per mia fortuna, non ho ancora avuto esperienze del genere.
Ma con certi pazzi in giro che credono di giocare a Risiko Live Action non si può mai dire...
È tornato su Prime Video il reality game con i comici, tutti rinnovati, che non devono ridere alle gag dei colleghi e abbiamo avuto un cambio nella sala controllo con Frank Matano al posto di Mara Maionchi, cioè un Frank che non serve a nulla se non a ridere, sghignazzare esattamente come la sua collega di Italia's Got Talent, e Lillo che fa incursioni in veste di provocatore, dato che la volta scorsa con i suoi "So' Lillo" è stato uno di quelli che hanno bucato di più lo schermo, e così furbescamente la produzione cerca di rimetterlo in mezzo.
Si ride abbastanza, ma rispetto alla prima edizione, come quasi in tutti gli show di questo tipo, manca ormai l'effetto sorpresa e tutto pare un po' sottotono se non addirittura forzato, perlomeno io mi sono divertito parecchio di meno (o forse sto diventando brontolone e basta).
Mi sono innamorato però della comica meno divertente di tutti, cioè della novella Ariel, cioè Tess Masazza sirenetta, ma anche della sua (involontariamente brevissima) apparizione in versione "palloncino" 😍.
Ma, sempre in tema di ridere, perdonatemi l'associazione fra show e politica, ma è sempre meglio comunque cercare di ridere con programmi come questo (no, Il Cantante Mascherato NO!!!), piuttosto che farci ridere dietro per Matteo Salvini e la brutta figura da facepalm rimediata in Polonia a causa di una maglietta famosa e discussa
che aveva ostentato in occasione di una sua visita a Mosca; una Polonia dove invece si è recato bello bello sponsorizzato con un giaccone che pareva un tabellone per le interviste calcistiche con i marchi famosi bene in evidenza,
convinto di riscuotere consensi mostrandosi solidale al fianco della popolazione, senonchè IL SINDACO gli ha sbattuto in faccia proprio quella maglietta che Matteo aveva indossato a favore di Putin nemmeno tanto tempo fa.È pur vero che Matteo sto vizio di mettersi addosso cose l'ha sempre avuto e che son anche diventate famose le tante felpe indossate nelle varie occasioni dove ha presenziato con il logo dell'azienda o altri che andava per sostenere (e per farsi promozione),
salvo che se, per dire, indossi una maglietta dei Ramones o degli Iron Maiden, di solito lo fai perché la band ti piace e lo vuoi dimostrare agli altri, e nello stesso modo mettendosi addosso certe effigi, le cose poi ti ritornano come un karma e voilà.
Pure gli sponsor che stavano in evidenza sulla giacca di Salvini, adesso prendono le distanze, ma dico...
Pensarci prima a chi davi il tuo appoggio no? Eh...
È così sarà pur vero che l'abito non fa il monaco, ma lo sponsor (e non solo lui) ci fa sicuramente una figura di...