Beh, oggi Bruce Springsteen gode senza dubbio di una meritata e conquistata fama nel mondo della musica, tanto da riempire gli stadi come se niente fosse e lo fa con concerti dalla durata oversize, giusto per non scontentare nessuno che sennò poi alla fine ti cantano la canzoncina "se non suoni l'ultima, noi non ce ne andiamo".
Tuttavia per The Boss non è sempre stato così poiché i suoi primi due album furono due flop commerciali nonostante fossero dischi elogiati dalla critica.
Dovrà quindi arrivare il 25 agosto del 1975 (cadeva esattamente ieri l'anniversario del mezzo secolo) per far uscire BORN TO RUN, un album che vedeva alla produzione, come nuovo arrivo, anche Jon Landau, uno che ci sapeva fare abbastanza bene (sua è la famosa frase "ho visto il futuro del rocknroll e il suo nome è Bruce Springsteen") e, complice anche una campagna promozionale dai costi elevatissimi, ecco che finalmente Bruce viene notato...
Non dal sottoscritto però.
Si, perché qui avrei potuto facilmente millantare che già conoscevo anche i due album precedenti (chi poteva metterlo in dubbio?) e invece no, poiché Springsteen lo ascolterò per la prima volta su RADIO LUXEMBOURG
durante quelle pionieristiche ricezioni notturne sulle onde medie tra mille disturbi (unico modo e orario per poter ascoltare l'emittente in Italia) nel 1978 con il singolo BADLANDS che arrivava quindi dal suo quarto album di studio. Eh, lo so, erano passati ben tre anni dall'uscita di Born To Run, ma che volete farci?
Le FM di allora erano pregne di Pooh, Tozzi, Santo California, Luca D'Ammonio, Michele Pecora, Benito Urgu (alcuni di questi nomi a qualcuno faranno dire "chiii?"), la disco teutonica e quella francese (leggi ROCKETS), e invece del Boss non se ne parlava ancora tanto.
Poi, inutile dire, che, anche leggendo quel vangelo che era CIAO 2001, sono cresciuto anche insieme a lui e alle sue canzoni passando da quel doppio The River e poi quel top di album che è stato Born In The USA, che per i puristi era commerciale si, è vero, ma anche la svolta di Born To Run, con la mitica E-Street Band ormai consolidata, era stata ideata per acchiappare i circuiti di musica commerciale dato che non si vive di sola musica, ma serve anche qualche spicciolo da mettere da parte.
E comunque, se non fosse andata così, non avremmo avuto lo Springsteen che conosciamo, per cui ritengo che tutto sia andato per il meglio.
Premetto che degli Yes il mio album preferito è Going For The One per tutta una serie di motivi che ho raccontato molto tempo fa in un POST DEDICATO.
Ma l'album in questione oggi, sempre della band britannica, è CLOSE TO THE EDGE, un disco, naturalmente in vinile, del 1972 considerato al pari di Trespass dei Genesis e The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd per quanto riguarda il progressive (e qui sono ancora lontani i suoni easy pop di Owner Of A Lonely Heart ideati da Trevor Horn).
Dato che il disco aveva avuto una certa importanza, già nel 1987 era stato ripubblicato su CD negli Stati Uniti e in Europa dopodiché arriverà un'altra edizione rimasterizzata digitalmente nel 1994.
Ma non finisce mica lì perché nel 2003, l'album viene ripubblicato di nuovo su disco in un'edizione ampliata e rimasterizzata come anche nel 2013, con l'aggiunta di tracce bonus che includono versioni alternative e versioni strumentali.
Per finire, ancora di recente il 7 marzo scorso è stata pubblicata un'edizione super deluxe a sette dischi (!!!) sempre dello stesso album in un cofanetto che include anche tre dischi di rarità e materiale live, ovvero cose per veri maniaci estremi degli Yes.
Io, per dire, ho anche l'edizione estesa di Going For The One, ma le tracce bonus non sono poi gran cosa e alla fine ascolto sempre e solo la tracklist ufficiale del disco.
Tali operazioni di "ritorno" di album storici accadono anche in Italia in particolare con i Pooh che in questi giorni hanno ripubblicato Un Po' Del Nostro Tempo Migliore
ad un prezzo in effetti un po' elevato (mai come quello degli Yes comunque), nel senso che per chi ha già gli originali può andare anche bene così, ma qualcuno sicuramente li comprerà.
Primo d'aprile e tempo di scherzi (o pesci) più o meno riusciti.
Scherzetti che vengono talvolta fatti anche nella musica piazzando ad una canzone un titolo furbetto che ti ricorda qualcos'altro (ma solo il titolo perché poi il testo parla di tutt'altro) come hanno fatto i Pooh con LASCIA CHE SIA, ovvero la traduzione del Let It Be di beatlesiana memoria, Claudio Baglioni con A MODO MIO, cioè la traduzione di My Way, il manifesto di Frank Sinatra (ma anche di Sid Vicious) scritta da Paul Anka, e canzone del cantautore romano tratta da E Tu..., bellissimo album arrangiato dal mitico VANGELIS, i Matia Bazar di SOLO TU che prendono in prestito il titolo (ripeto, sempre e solo il titolo) dai Platters di Only You (più avanti lo faranno anche gli Yazoo comunque), Antonello Venditti che con SETTEMBRE fa il doppio colpo riprendendo lo stesso titolo di una vecchia canzone di Peppino Gagliardi (chissà chi se lo ricorda?) e un'altra funky dance più recente degli Earth Wind & Fire cioè September, Eugenio Finardi che per LA FORZA DELL'AMORE mette in mezzo un titolo già usato da Huey Lewis & The News per UN FILM (credo) abbastanza famoso e dai Frankie Goes To Hollywood, su quegli accordi presi da Baba O'Riley degli Who che senti nella sigla di C.S.I. NY, fino ai Dik Dik che rievocano Help dei Beatles aggiungendo un semplice pronome al verbo così diventa HELP ME, una canzone la cui storia raccontata pare invece Space Oddity di Bowie, ma vista da chi è rimasto a terra.
Scherzetti o furbate che siano, però le canzoni originali citate e quelle con il titolo copiato sono comunque entrambe bellissime, per fortuna.
E gli esempi che ho portato sono ancora pochi, anzi se a chi sta leggendo viene in mente qualcosa, ben venga.
Ieri 28 marzo, è stata una giornata speciale per i Poohlovers e stavolta non si tratta né dell'ultimo concerto, né dell'ennesima reunion della band con pure Riccardo Fogli ficcato in mezzo a far numero.
Ieri è stato il giorno in cui, dopo una lunga e sofferta gestazione, è stato finalmente pubblicato Parsifal L'Uomo Delle Stelle, il nuovo progetto legato ai Pooh che è una vera e propria opera la quale prende spunto e ampia la suite contenuta nell'album del 1973 di cui avevo già PARLATO QUI con dovizia di particolari in occasione dei 50 anni del disco.
Quella dell'opera era un'idea che all'amico per sempre Valerio Negrini frullava in testa già prima del 1973 e con Roby ci stavano già lavorando allora, ma gli impegni con i dischi e i tour non lasciavano molto tempo per mettere insieme una cosa così ambiziosa che, se la fai, la fai come Dio comanda.
Adesso la cosa ha finalmente preso una forma concreta per il signor Camillo Ferdinando Facchinetti che, da simil pensionato quale potrebbe essere, ha impiegato così il tempo libero invece di stare a guardare i cantieri come fanno tanti della sua età.
Dico solo che il prossimo 1 maggio Roby ne fa 81 di anni!
Mentre invece sono 44 i brani in DOPPIO CD oppure triplo vinile, che raccontano di un Parsifal meno mitologico e più umano con i testi a cui aveva lavorato l'altro amico per sempre Stefano D'Orazio fino al giorno della sua dipartita e con, naturalmente, le liriche originali di Valerio.
È musica maestosa quella che esce da qui, ma probabilmente può fare un po' strano sentire la canzone Parsifal cantata da una voce diversa da quelle dei Pooh a cui siamo abituati.
Oltre a Roby Facchinetti che si è occupato delle nuove musiche e interpreta il protagonista, e infatti il disco esce in realtà a nome suo, appaiono anche tanti ospiti a dar voce ai vari personaggi tra cui l'ottimo doppiatore Christian Iansante come padre di Parsifal, mentre gli arrangiamenti orchestrali sono curati da Danilo Ballo, collaboratore della band che ultimamente si fa vedere pure lui sul palco a suonare le tastiere durante i concerti seppure confinato lateralmente.
Tutto ciò per ora rimane solo sotto forma di DISCO perché per vedere l'opera in teatro sembra che dovremo attendere il 2027, dato che invece il 2026 per Roby sarà tutto dedicato ai 60 anni dei Pooh con il classico tour celebrativo che mica può mancare.
Oggi è il tradizionale giorno dedicato alle donne, per cui lancio i miei auguri a tutte, lettrici e non (ma se non sono lettrici l'augurio come diavolo arriva?) e voglio dedicare, essendo sabato che in genere riservo alla musica, una canzone dei mitici Pooh che le donne hanno spesso messo come protagoniste delle loro canzoni più belle.
Ma non sempre le ciambelle riescono col buco e qualche passetto falso lo hanno fatto pure loro per esempio pubblicando questa canzone, che finirà poi nel LP Uomini Soli.
Brano dal titolo DONNE ITALIANE, che a dirla tutta non è esattamente delle loro migliori, piena com'è di luoghi comuni e presto sparita dalle scalette dei loro concerti.
Beh, Valerio Negrini come autore dei loro testi aveva partorito cose moooolto migliori e chissà cosa pensava nello scrivere le parole di questa canzone.
Lo sapete che son canaglia e spero che nessuna si offenda per questo scherzetto musicale, che poi io la canzone la vedo così per il mio gusto personale, ma magari a qualcuno/a fan de Pooh fino al midollo piace anche questa, dai...
Nonostante il mio parere che lascia il tempo che trova, i Pooh rimangono i Pooh, cioè per me tra i migliori rappresentanti della nostra musica italiana in un panorama sempre più mediocre.
E lunga vita a loro come anche di nuovo auguri a tutte!
Oggi torno a parlare dei ROCKETS e non solo per la recente scomparsa di Christian LeBartz,
lo storico frontman purtroppo deceduto a 74 anni dopo aver lasciato la band molto tempo fa per dedicarsi ad attività molto lontane dalla musica, come allevare cani.
Colgo l'occasione di riparlarne anche perché su Prime Video avevo visto tempo fa Fenomeno Rockets, un film documentario (forse ora è su Tim Vision) sulla band francese con interviste a gente che ha gravitato (mai termine sarebbe stato più adatto) nel loro ambiente o che tuttora ha un legame concreto come Fabrice Quagliotti che è rimasto l'unico membro originale a detenere il marchio Rockets rimettendo insieme la band con nuovi musicisti.
Il film è diretto da Piergiuseppe Zaia che già conosciamo bene per una CERTA ROBA BRUTTA BRUTTA e anche qui in effetti il risultato non è molto centrato poiché aldilà delle testimonianze si vedono pochissimi video live e quelli d'epoca sono di pessima qualità riquadrati in un piccolo televisore virtuale.
Per fortuna ci sono un po' più di foto, ma a conti fatti sono sempre troppo poche.
Colpa forse del fatto che allora i cellulari non c'erano ancora e i filmati (rari) erano su pellicola che spesso finiva deteriorata dal tempo.
Ecco il grande difetto di questo film è che se hai sentito parlare dei Rockets come una leggenda, forse è meglio non guardarlo poiché da esso sembrano uscirne come un gruppetto amatoriale di medio livello, mentre meriti ne hanno avuti eccome, cioè tanto per dire, la loro cover di ON THE ROAD AGAIN è mille volte superiore all'originale dei Canned Heat e i loro show erano quanto mai innovativi tra quei fumi e raggi laser che Battiato detestava (e che i Pooh invece adoravano e infatti c'è una mezza diatriba su quale dei due gruppi abbia utilizzato prima tali effetti), ma questo nostro regista sembra non avere idea di come tirare fuori il meglio dalle immagini, e ciò fa specie in questo periodo in cui oggi cade l'anniversario riguardante i Fratelli Lumiere che 130 anni fa brevettavano Le Cinematographe,
una macchina in grado sia di riprendere immagini che di proiettarle, per cui sento di doverli ringraziare altrimenti questo blog probabilmente non avrebbe ragione di esistere.
A quanto pare per il signor Zaia invece tutto lo sbattimento dei due fratelli é stato inutile.
Per chi invece ha vissuto quegli anni e magari quei cinque matti dipinti li ha anche visti in concerto, questo film, a sentire i racconti degli intervistati (perché alla fine a questo si riduce), può portare a galla anche dei bei ricordi come li può portare uno dei pochi documenti live che si trovano sul Tubo, cioè quello ben noto del CONCERTO DI TARANTO nel 1980. E personalmente i loro dischi, quelli dell'era argentata, li ho ancora in casa.
Marracash è tornato con un nuovo disco e per fortuna non è la solita trap da ragazzini,
anche perché lui ragazzino non lo è più da un po' di tempo, come anche Kevin Costner che oggi compie 70 anni (auguri!!!), e questo È Finita La Pace mi ha veramente stupito perché è una vera bomba come il singolo GLI SBANDATI HANNO PERSO, già da settimane nelle radio, lo dimostra appieno.
E se ascoltando la canzone vi pare che possa ricordare Crazy di Gnars Barkley, non si tratta di un plagio, ma è dovuto all'utilizzo dello stesso sample che arriva dalla colonna sonora di Preparati La Bara.
L'autotune c'è ma utilizzato col cervello e a proposito mi viene in mente lo sketch sui trappers di Andrea De Marco a Zelig tornato da mercoledì scorso, dove con Bisio e la Incontrada giocavano con quell'effetto.
Beh quando Vanessa ha usato l'autotune era persino piacevole, ma l'ho già detto che sulle voci femminili quelle diavoleria rende meglio.
Anche le altre canzoni dell'album non sono da meno e un paio si fregiano di due duetti impossibili: Ivan Graziani e Stefano D'Orazio... Eh si, avete letto bene perché grazie a due campionamenti le voci dei due compianti musicisti duettano con Marracash e sono pure due belle canzoni.
L'ex Pooh si sente in SOLI, e anzi nel caso di Ivan si tratta proprio della TITLE TRACK. Ve lo giuro che è un bel disco, anche se son canaglia...
Nel giorno che segue la notte di Halloween di 50 anni fa, quando ancora in Europa tale festa a stelle e strisce non si considerava ancora, cioè il primo novembre del 1974 quei quattro "giovialoni" tedeschi dei Kraftwerk pubblicavano AUTOBAHN,
ovvero Autostrada, quasi come fosse pure quella una ricorrenza dato che a settembre del 1924 era stato inaugurato a Lainate il primo tratto dell'autostradaMilano - Laghi, da Milano a Varese, la prima realizzata al mondo, ed il di molto successivo ottobre del 1964 toccava all'Autostrada Del Sole.
Ma torniamo subito ai nostri quattro gelidi musicisti teutonici che con questo disco, da duo come erano nati nei primi tre dischi (Ralf Hutter & FLORIAN SCHNEIDER), diventavano appunto quartetto e continuavano a sperimentare le sonorità elettroniche (finora con anche interventi di flauto e violino) cominciando a portarle verso gli estremi robotizzati che poi li avrebbero caratterizzati negli anni a seguire con quel picco al top che sarebbe stato The Man Machine, e qualcosina di Halloween comunque dovevano avere già dentro perché a mia madre facevano una paura matta quando li vedeva in tv
intervistati da Corrado a Domenica In (o meglio, erano le loro controparti sintetiche, ma, povera donna di un mondo antico, lei si spaventava anche di più per i ROCKETS).
La musica che esce da questo Autobahn non è per niente pop leggero, anzi a dir la verità ti mette pure una certa ansia specie nei brani che occupano il lato B dato che il primo è tutto occupato, con le sue variazioni, dalla suite che dà il titolo al disco, ma negli anni 80 un nostro artista geniale, all'epoca sottovalutato solo perché stava appeso sotto forma di poster nelle camerette delle adolescenti, saprà rileggere gli stessi identici suoni con tutt'altro spirito, e sto parlando di Alberto Camerini con TANZ BAMBOLINA e ROCK'N'ROLL ROBOT, personaggio che di recente è tornato a fare spettacoli (tingendosi gli ormai bianchi capelli) anche grazie ad un ritorno di popolarità regalatogli dai Rockets che, insieme a lui, hanno fatto una COVER della sua canzone in quel TIME MACHINE che ci aveva lasciato un po' tanto perplessi per la scelta dei brani tipo Piccola Katy dei Pooh.
Due modi estremamente diversi, quelli dei Kraftwerk e di Camerini, di utilizzare la stessa tecnologia per fare dischi, come dire che "sta mano po' esse piuma e po' esse fero...
Dipende tutto da come la usi.
Piccola chicca sulla copertina del disco è che quella che appare anche dietro di loro
nelle esibizioni live è quella fatta per il mercato britannico, divenuta in effetti poi quella più classica è più essenzialmente kraftwerkiana, mentre l'originale sarebbe stata questa
con alcune variazioni tipo che in alcune edizioni non si vede il cruscotto in primo piano dell'auto, oppure manca il cartello stilizzato in sovrimpressione.
Certo è che, per tornare alla protagonista del disco dei Kraftwerk, di anni ne sono passati da quel 1924 e queste nostre autostrade i segni adesso li mostrano tutti con i cantieri che, specie d'estate, provocano code lunghissime.
Ma sai com'è... dopo quella brutta faccenda di Genova a qualcuno adesso gli prude lì didietro e cerca di far vedere che si dà da fare.
Fatto sta che a rimandare a domani le cose che potresti fare oggi poi ti trovi con una mole di lavori difficile da gestire.
Perciò lasciamo l'arduo compito a chi di dovere che il suo lavoro dovrebbe saperlo fare... o no?
Ieri, 13 settembre, oltre ad esser L'ANNIVERSARIO di Spazio 1999, sono caduti anche i 50 anni di Apostrophe ('), disco di Frank Zappa considerato uno dei suoi migliori lavori, quindi per una volta oggi non si parla di canzonette, perlomeno adesso all'inizio del post, e lo si può dedurre ascoltando DON'T EAT THE YELLOW SNOW
(attenzione alla copertina "viva" del disco che vi guarda), il singolo estratto dall'album che arrivò alla posizione numero 10 di Billboard e frase, quella del titolo, che viene citata da Will Ferrell in Elf, quel film carinissimo dove c'era anche il compianto James Caan.
L'album è stato ripubblicato ieri in vinile colorato gold (ma io direi come la "neve gialla") in occasione dell'anniversario per solleticare l'appetito dei cultori del vecchio formato, e, aldilà del fatto che Zappa possa piacere o no, poiché non era certo un musicista "facile", ascoltandolo ci si trova, tra i musicisti che hanno collaborato con lui, anche Jean Luc Ponty, violinista che verso la fine degli anni 70 piazzó quel singolo tutto strumentale dal titolo NEW COUNTRY, vera onda anomala in quel panorama musicale che vedeva personaggi come i ROCKETS e UMBERTO TOZZI (dominatore assoluto dei juke box) arrivare sullo stesso pianeta dove i Pooh già spadroneggiavano da tempo e continuano tuttora imperterriti.
Quel singolo di Jean Luc capitava in un periodo in cui i brani strumentali stranamente funzionavano alla grande anche alla radio dato che c'erano pure SCOTCH MACHINE dei Voyage con cornamuse scozzesi a pieno regime senza ritegno alcuno, Magic Fly degli Space (simil Rockets di cui avevo parlato molto tempo fa in un POST sulla musica "spaziale") e la meravigliosa OXYGENE (PART IV) di Jean Michel Jarre che di spaziale aveva solo il mood perché lui invece si presentava da vero terrestre molto apprezzato dal pubblico femminile, nonché (poco tempo dopo quasi agli albori degli anni 80) il nostro Giorgio Moroder che fra una produzione disco e l'altra, ogni tanto si dilettava in colonne sonore (e vedremo che ci prenderà parecchio gusto nel decennio a venire) come quella di Fuga Di Mezzanotte dalla quale era tratta CHASE, senza dimenticare poi THE ALAN PARSONS PROJECT.
E meno male che era così, mentre adesso se una canzone non è cantata (magari anche male con l'autotune settato a muzzo come Fedez, ma cantata), alla radio non passa.
Ma tranquilli che ci penso io a riportare alla mente qualche ricordo musicale e qui ne trovate sempre a iosa 😁.
Woodstock, oltre ad essere una città degli Stati Uniti, è legata a quel festival di musica e amore (e qualcos'altro) che ci riporta ai tempi dei figli dei fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa e simbolo della pace in bella vista.
Chi più chi meno ha visto il film concerto che però non mostra proprio tutti quelli che c'erano, ma va bene lo stesso anche se molte volte la qualità dell'audio non è esattamente perfetta.
Rimane mitica in quel festival del 1969 l'esibizione di Joe Cocker con WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIENDS, cover di una canzone dei Beatles che diventa mille volte migliore dell'originale per un Joe che aveva solo 25 anni (!!!), ma ne dimostrava quasi il doppio. Beh, dopo 25 anni a qualcuno venne l'idea di rinnovare l'evento che, anche se porterà sempre il nome di Woodstock, sarà locato invece ad una decina di chilometri dalla città.
Evento che doveva essere tenuto il 13 e 14 agosto del 1994, cioè soli due giorni come scritto sul poster ("2 more days" che si aggiungevano idealmente ai tre del 1969), ma, a grande richiesta, venne aggiunta anche la data del 12, quindi alla fine è oggi che cade l'anniversario del secondo Woodstock.
Fra i pezzi grossi del Woodstock originale tornavano in questo "sequel" alcuni nomi come appunto Joe Cocker e Crosby Stills & Nash, mentre si aggiunsero altri invece della scena musicale più recente come i Cranberries, i Primus, i Nine Inch Nails e i Green Day, come pure degli altri veterani tipo Aerosmith, Bob Dylan (che aveva rifiutato la prima edizione) e Peter Gabriel.
Anche stavolta il tempo, come tradizione, mise la sua firma funestando con un mega acquazzone il concerto e riducendo il terreno ad una massa di fango che ispirò il pubblico a fare una battaglia a fangate in faccia mettendo in mezzo pure i GREEN DAY che stavano sul palco. Stessa sorte anche per altri che si sono dovuti esibire quel giorno e certo non dev'essere stato divertente per la strumentazione.
Stavolta oltre a Joe Cocker c'era anche il nostro tarocco italiano Zucchero, mentre i Guns'n'Roses rifiutarono (ma Slash ci andò lo stesso per suonare con Paul Rodgers) e stessa cosa per i Kiss che volevano presentarsi con Ace e Peter per fare una reunion storica, ma questi ultimi, nonostante una buona offerta economica da parte di Gene e Paul, dissero no, per cui non se ne fece niente.
Purtroppo sono solo i Pooh che riescono a fare le reunion così a comando, e a me fa pure piacere perché, nonostante Camillo (Roby Facchinetti) faccia ormai un po' tanta fatica a tenere le note alte come faceva invece in scioltezza 50 anni fa, le loro canzoni e i loro spettacoli sono sempre benvenuti.
Per la prossima edizione di Woodstock allora invitiamo anche loro?
Non sarebbe nemmeno così strano poiché i Pooh, racconta Red Canzian, fecero il loro primo tour americano quando l'ex Capsicum Red (band prog dove invece il ragazzo suonava la chitarra) fece l'ingresso in formazione, e ironizza dicendo che così avrebbero provato il nuovo bassista lontano dall'italia e se non fosse andato bene lo avrebbero lasciato là.
Come sono andate le cose invece lo sappiamo tutti e meno male che è così.
Il southern country rock piange un altro elemento della The Allman Brothers Band poiché nei giorni scorsi è morto ad 80 anni Dickey Betts, chitarrista, voce e co-fondatore del gruppo con i veri fratelli Allman.
Di lui si ricorda in particolare RAMBLIN' MANscritta e cantata con loro nel 1972, singolo di successo della Allman Brothers Band entrato nella top 10 e ultima canzone con il bassista Berry Oakley scomparso poco dopo nello stesso anno.
La canzone ha avuto un ruolo importante nella loro discografia perché aveva segnato anche un cambio stilistico nella band che passava da un rock blues jazzato ad un country rock dal gusto pop che si offriva meglio ad un grande pubblico.
Una curiosità su Ramblin' Man è che era stata scritta ed eseguita in Sol, ma durante il mastering, non si sa se volutamente o per qualche errore tecnico, la traccia è stata accelerata e siccome all'epoca il digitale non esisteva, anche la tonalità del brano si è alzata ed è diventata un La bemolle.
Tale trucchetto in realtà veniva usato spesso da artisti (anche italiani, certo) per rendere più acute le proprie voci (certe canzoni dei Pooh come QUESTA,per esempio, per quanto senza dubbio bravi siano, mi hanno sempre lasciato qualche dubbio), il che era efficace il sala di registrazione, ma anche abbastanza inutile perché poi alla resa dei conti live i nodi arrivavano al pettine.
Nel caso di Dickey comunque il brano dal vivo veniva sempre eseguito nella tonalità di Sol come era stato scritto senza perdere nulla della sua bellezza, anche perché più comodo da suonare sulla chitarra piuttosto che farlo in La bemolle.
Da ricordare che nella band aveva militato anche il talentuoso pianista Chuck Leavell che di recente avevamo visto al fianco di David Gilmour nel suo RITORNO A POMPEI.
Anche il cinema perde un nome in quello di Antonio Cantafora, anche lui ottantenne, ma crotonese, e meglio conosciuto negli anni 70 con lo pseudonimo di Michael Coby in coppia con Paul Smith, e come tale possiamo ricordarlo intento a fare i film di Bud Spencer & Terence Hill TAROCCATI dove erano doppiati entrambi dalle stesse voci degli originali, ovvero Pino Locchi e Glauco Onorato.
Antonio era ovviamente il sosia di Terence Hill, ma in seguito si è dedicato al ruolo di caratterista per registi come Fellini, Skolimowski, Barreto, Lattuada e Bolognini, e in tempi più recenti ha fatto parte del cast di diverse fiction tv tra cui Elisa di Rivombrosa nel 2003-2004.
Il prossimo 27 ottobre, cioè ad un passo da Halloween, uscirà il nuovo album dei Duran Duran che ha già fatto parlare di sé per la presenza di Victoria dei Maneskin e per il ritorno di Nile Rodgers, nonché del figliol prodigo Andy Taylor, ma quanto sia affidabile il ragazzo lo devo ancora verificare, anche perché il chitarrista fino allo scorso anno era in lotta contro un tumore.
Nel frattempo è stato pubblicato pochi giorni fa il nuovo singolo dal titolo DANSE MACABRE che continua il trend "ottimista" lanciato dai Depeche Mode con Memento Mori lo scorso anno.
Videoclip horror creato dall'intelligenza artificiale che ha raccolto tutti i dati possibili su Tim Burton e La Sposa Cadavere/Nightmare Before Christmas/BEETLEJUICE, nonché su certi altri film come Coraline E La Porta Magica da quel romanzo di Neil Gaiman, per sfornare un gran bel prodotto senza dubbio, che però si ferma lì al lato visuale, dato che la canzone in sé stessa, nonostante le percussioni tipo SHOUT dei Tears For Fears che si sentono all'inizio, è quanto di più brutto si sia mai sentito dagli anni 80 a questa parte (altro che la super hit di Orzabal e Smith). E in questo sabato che solitamente viene riservato alla musica, ve lo dice a malincuore uno che fra Spandau e Duran ha sempre preferito i secondi al punto da aver portato a lungo delle acconciature come i cinque di Birmingham per fare il dj in discoteca, imitandoli anche negli outfit per quanto fosse possibile.
Li ho seguiti sti ragazzi anche negli anni 90 quando Warren Cuccurullo (ex Missing Persons) era subentrato ad Andy, in particolare nel 1993, anno storico per i videogames in cui nasceva Sonic The Hedgehog per la Sony e loro se ne uscivano con quel disco senza un titolo preciso, solo con il loro nome, ma chiamato The Wedding Album a causa delle foto di copertina,
un lavoro che conteneva due gioielli come Ordinary World e Come Undone, e poi nei 2000, notando ogni volta che ogni nuovo disco pescava a tratti nel loro passato senza mai autocopiarsi, ma piuttosto come a mantenere una certa coerenza di stile.
Ma qui, oggi, nel 2023, in cui il mitico Simon LeBon potrebbe cambiare il suo cognome con MaxiBon,
non riesco proprio a trovare le fonti che hanno generato tale orrore musicale (se musica si può definire).
E se questo è un assaggio del nuovo album, allora lascio la parola ad una che se ne intende, ovvero alla Sora Lella.
Ah... proprio un attimo prima della pubblicazione del post (forse per correre ai ripari) è stato rilasciato anche il secondo singolo dei Duran Duran, cioè BLACK MOONLIGHT, proprio la canzone dove hanno dato il loro contributo Nile Rodgers e Andy Taylor e questa alza il livello portando un po' di funky col basso di John che tira il pezzo.
Questo fa ben sperare, ma purtroppo le voci di corridoio dicono che sia l'unico brano decente del nuovo lavoro.
Aspettiamo un mesetto per la verifica dai...
Novità di tutt'altro genere invece il NUOVO DISCO dei ROCKETS di Fabrice Quagliotti che rimane come ultimo rappresentante dei cinque originali, e che continua a rinnovare la formazione dato che dall'inizio dell'estate ha presentato il nuovo frontman Fabri Kiarelli che arriva da Savona.
I Rockets pure loro stavolta spiazzano tutti perché si cimentano nel beat anni 60 coverizzando (pensa te...) Piccola Katy dei Pooh e dandole un testo in inglese con aggiunte alcune barre rap, mantenendo però il famoso break recitato in cui Riccardo Fogli chiedeva alla ragazza di fermarsi un momento ad ascoltarlo e la convinceva a tornare a casa.
Certo l'effetto che fa è quantomai bizzarro (per non dire terrificante), ma bisogna ricordare che la band fece il botto quando entró in formazione Fabrice sempre con una cover, cioè On The Road Again dei Canned Heat superando la popolarità dell'originale, e anche il loro primo album conteneva APACHE degli Shadows riletta da loro in stile funky.
Quindi in effetti sono tutte canzoni piuttosto strane per un gruppo che si spaccia per extraterrestre, ma persino questa nuova inutile cover così diversa dal loro solito sound sintetico/spaziale, mi pare meno peggio di quel brutto nuovo singolo dei Duran Duran.
Gira gira, passando anche dagli WHITESNAKE di ieri, finisco spesso a parlare dei Pooh, e stavolta lo faccio perché Parsifal, il loro storico album che conteneva la lunga suite omonima, compie oggi cinquant'anni esatti, poiché uscito il 31 agosto del 1973.
Pochi però sanno che la lavorazione cominciò 4 anni prima partendo dalla parte strumentale finale del brano che Roby Facchinetti compose già nel 1968, brano che la band suonava già nei concerti senza però avere il nome della canzone che tutti conosciamo.
Quel nome sarà un'idea di Valerio Negrini, allora paroliere del gruppo dopo esserne stato il batterista, ma ne parleremo più avanti.
Quella prima versione è pure stata pubblicata dalla casa discografica in un disco chiamato Contrasto dal nome profetico perché scatenò una mezza lite con i Pooh essendo stato composto da provini anche mal registrati e senza il benestare dei 4.
Motivo per cui venne ritirato dal mercato ed ora le pochissime copie in circolazione valgono cifre inimmaginabili.
L'idea di ricavare una vera e propria suite da quel brano fu di Giancarlo Lucariello, il loro nuovo produttore che in effetti ci aveva visto lungo. Lavorandoci sopra, quel brano si estese fino a diventare una suite di 10 minuti, alla quale però serviva anche una parte cantata e, di conseguenza, un testo.
Ed ecco che entra in gioco Valerio con una trovata che fece sbigottire Roby: Negrini voleva da tempo scrivere qualcosa con cui ispirarsi a Wagner e al mito di Parsifal, e questo brano gli stava dando le giuste vibrazioni per raggiungere quella meta.
Cioè i Pooh che pochi anni prima cantavano Piccola Katy, si sarebbero buttati nella musica classica?
Ebbene si.
Secondo Valerio era il momento giusto per un salto di qualità in quella fusione di musica leggera e classica che era il prog in cui tante band già gravitavano, e questo grazie ad un materiale coi controc... ehm, con tutte le carte in regola.
Una volta inciso tutto il lavoro, ma con il disco ancora da pubblicare, nel 1973 PARSIFAL (qui eseguito nella reunion con Stefano del 2016) fece il suo debutto live a Milano con un riscontro di pubblico che la parola ovazione non rende l'idea, ma che fece capire ai 4 Pooh (più Valerio) di aver fatto davvero qualcosa di grande.
E in vista di questi 50 anni, i Pooh, ancora quando c'era Stefano, stavano lavorando ad un progetto che avrebbe trasformato Parsifal in uno spettacolo teatrale vero e proprio.
Spettacolo che in questo 2023, oltre alla reunion organizzata dai figli dei Pooh, Francesco e Daniele, finalmente dovrebbe vedere la luce su un palcoscenico.
Nella settimana che ci stiamo quasi lasciando alle spalle abbiamo avuto due grosse perdite per il cinema poiché ci hanno lasciato William Friedkin ad 87 anni e Arthur Schmidt ad 86.
Il primo è stato il regista di quel caposaldo dell'horror che è L'ESORCISTA, film tratto dal romanzo di William Peter Blatty che riesce a farti accapponare la pelle ancora adesso a 50 anni di distanza (e non è cosa da tutti), e nella foto sopra lo vediamo insieme a Linda Blair che era Regan, la bambina posseduta dal demonio.
Colgo l'occasione per pubblicare anche alcune belle foto backstage (anche autografate) prese sul set di quel film in cui William gioca amorevolmente con la piccola Linda.
L'anno precedente invece Friedkin aveva diretto Il Braccio Violento Della Legge con Gene Hackman e Roy Scheider, il primo film su Papà Doyle (giochetto del doppiaggio fatto per il labiale poiché in originale il soprannome del personaggio era Popeye) che contiene una delle scene di inseguimento più belle della storia del cinema e che il regista stesso, durante un'intervista, aveva definito così piena di pericoli mentre la giravano che si considerava fortunato che nessuno si fosse fatto male. Il secondo nome, meno di spicco perché lavorava in post produzione, ma ugualmente importante, era lo stretto e fidato collaboratore di Robert Zemeckis in tutti i suoi film di successo, poiché Arthur Schmidt era il montatore e lo sappiamo bene che un buon o cattivo montaggio può fare la differenza in una pellicola.
Nel caso di Arthur il suo lavoro era stato sempre egregio portandosi pure a casa due Oscar lavorando per Robert, e i risultati li abbiamo avuti tutti davanti agli occhi, dalla saga di Ritorno Al Futuro, a Forrest Gump, da Chi Ha Incastrato Roger Rabbit a La Morte Ti Fa Bella, insomma tutti film di grande successo.
La musica invece segna una perdita piuttosto curiosa con il cantautore americano Sixto Rodriguez, 81 anni, che nel 1970 se ne usciva con questa SUGAR MAN, passata inosservata negli stati uniti come i suoi due successivi album, finché, a sua insaputa, una casa discografica australiana ha acquistato i diritti dei due dischi e li ha ripubblicati creando un vero e proprio mito alimentato anche dal documentario Searching For The Sugar Man, nel quale veniva ipotizzato che Sixto fosse già morto.
Invece, grazie a tutto ciò, Rodriguez ebbe la sua seconda chance finendo così a fare anche dei concerti in Australia e poi in tutto il mondo.
Inoltre le sue canzoni vennero utilizzate anche come inni dai giovani sudafricani durante le proteste contro l'apartheid.
Per la musica italiana invece diamo oggi l'addio a Peppino Gagliardi, cantante melodico napoletano con molte partecipazioni al Festival Di Sanremo e al Disco Per L'estate, i cui successi più famosi sono SETTEMBRE, che appena parte con l'intro fa subito vintage, e Come Le Viole.
Peppino, che, devo dirlo per correttezza, è sempre rimasto fuori dai miei canoni musicali perché in quel periodo ascoltavo i Beatles o, per la musica italiana, Equipe 84, Nuovi Angeli, Pooh eccetera, aveva 83 anni.
Anche la letteratura perde uno dei suoi rappresentanti con la morte di Michela Murgia, 51 anni, da tempo malata di tumore e che un paio di anni fa si era tirata addosso "l'ira funesta dei profughi afghani", o meglio dei fans di Franco Battiato con una BATTUTA poco felice.
Addio William, Arthur, Sixto, Peppino e Michela.
P.s.
Come diceva Corrado,... e non finisce qui, perché domani il sabato musicale sarà dedicato ad un altro mito scomparso (dovreste sapere di chi si tratta) al quale ho preferito riservare un intero post.
Estate e tempo di repliche sulla tv generalista, come la Rai in questo caso che, circa una settimana fa, ha riproposto Un Attimo Ancora,
disponibile anche su Raiplay, documentario sui Pooh realizzato con una sorta di filo conduttore da minifilm su una giovane aspirante regista le cui vicende personali si intersecano con quelle della band, che era stato presentato allo scorso Festival Di Sanremo e mandato in onda poco dopo.
Per me che sono un poohlover quel documentario era stato un bel ritorno al passato con anche momenti di emozione quando ho rivisto Stefano in quella sera ad alto tasso emotivo quando ha annunciato che lasciava la band, poi il ritorno dietro alla batteria nel 2016, con anche Riccardo Fogli che si riunisce agli altri, per quello che doveva essere il concerto definitivo di addio,
ma che, nonostante poi D'Orazio sia VENUTO A MANCARE nel 2020 per colpa del Covid-19, anticipando persino i Rolling Stones che, ricordiamo, hanno perduto CHARLIE WATTS, è stato smentito quest'anno da un ennesimo ritorno in concerto dei Pooh, un po' più affaticati che in passato, con Roby sempre sul filo del rasoio a fare i suoi acuti, ma con il pubblico che ha mostrato di voler loro sempre tanto, tanto bene.
Compie oggi 140 anni, perché inaugurato proprio il 24 maggio 1883, il famoso Ponte di Brooklyn, quello che unisce l'isola di Manhattan a New York.
Ponte visto in centinaia di pellicole perché è una scenografia così iconica che se un regista fa un film in quella zona non può fare a meno di buttarci almeno un'inquadratura dove lo si vede.
Kate & Leopold (2001), con Hugh Jackman off Wolverine, C'Era Una Volta In America (1984)
e The Irishman (2019), entrambi con DeNiro, I Fantastici 4 (2005), Il Collezionista Di Ossa (1999), persino l'italianissimo La Poliziotta A New York (1981) con Edwige Fenech sulla scia dei due episodi precedenti con Mariangela Melato, sono solo una manciata delle pellicole, buttate lì in ordine sparso, mica cronologico, che hanno utilizzato il ponte almeno in una scena.
Io stesso in un'altra casa (forse era pure in un'altra vita) avevo un'intera parete coperta con un maxi poster/tappezzeria che mostrava il ponte di notte, non in 3D come la foto di apertura del post, ma oltremodo d'effetto.
Ma dietro alla costruzione di tale mirabile opera, durata 14 anni, ci sono state pure 24 vittime per i lavori sia sopra che sotto l'acqua, queste ultime dovute ad embolie perché si lavorava appunto in immersione dentro a camere di scavo.
Fra le tante altre cose che hanno sfruttato l'immagine del ponte, ovviamente, la famosa, italianissima gomma da masticare in strip che ne prendeva il nome, cosa che a farlo oggi ti tiri dietro un esercito di avvocati.
Ma erano tempi diversi in cui potevi fare un po' quello che ti pareva e persino i Pooh utilizzavano la silhouette dell'orsetto Disney senza che nessuno rompesse le balle...
Ehm, no, non nell'800 poiché i Pooh forse all'epoca non c'erano ancora (ma qualche dubbio lo avrei), e nemmeno la gomma da masticare che è nata nel 1956.
Loro, i Pooh, che nel 1956 invece c'erano, ma ancora non suonavano insieme, questa cosa dell'appropriazione indebita di Winnie The Pooh sui dischi la facevano negli anni 70 finché negli anni 80 hanno preferito eliminare preventivamente tale sagoma,
che invece è ancora perfettamente visibile nella foto sull'etichetta del vinile del 1977, appunto; decisione presa così che non si sa mai...
A proposito: che gran disco questo ROTOLANDO RESPIRANDO, e quasi quasi lo posto anche, che un po' di buona musica non guasta mai.
Ma, amici pontisti, state allegri perché "presto" (virgolettato perché se faccio i conti in tasca agli americani che ci han messo 14 anni e 24 vite umane...) avremo una simile opera mastodontica pure noi italiani dato che il ponte sullo stretto è ormai Certo, Certissimo, Anzi... Probabile, proprio come un famoso film del 1969 con Catherine Spaak e Claudia Cardinale, pellicola che sicuramente conoscete...
Mentre ci siamo lasciati alle spalle il CONCERTONE del primo maggio senza aver risolto il mistero di chi fosse Antonioooo!!! più volte urlato da qualcuno del pubblico, e pure senza sapere chi sia stato il responsabile del bestemmione dopo l'esibizione dei Coma_Cose, l'onnipresente Carlo Conti torna ogni venerdì a proporre I Migliori Anni su Rai1 con i personaggi della musica che tornano a loro volta a riproporre i loro grandi successi, alcuni dei veri e propri One-Shot.
E infatti la prima puntata si è aperta la scorsa settimana con un Patrick Hernandez che ti fa BORN TO BE ALIVE esattamente identico, cioè palesemente in playback, a come l'avevamo visto sul palco dell'Arena di Verona in quello show di Amadeus dal contenuto molto simile, ma in una location differente.
Ma non tutti sono ricorsi a tale escamotage per esibirsi per fortuna, e, per esempio, arrivano in soccorso I POOH che si tengono stretto il palco per mezz'ora facendo anche un omaggio a STEFANO (ma non con una delle sue canzoni migliori, francamente), e ALBERTO FORTIS dibiancovestito che ha eseguito magistralmente La Sedia Di Lillà e Settembre dal vivo e che, se non fosse per qualche ruga (poche in verità), sembrava sempre lo stesso dei primi anni 80. I Modern Talking (che lo dico papale papale, non ho mai sopportato) sono tornati dimezzati con il solo Thomas Anders, appesantito nel fisico, ma alleggerito nell'hairstyle e anche lui dal vivo perlomeno in maniera abbastanza dignitosa con un MEDLEY e una coreografia scintillante che riportava davvero indietro di 40 anni.
Per altri invece il playback sarebbe stato davvero d'aiuto perché sia i London Beat, che Viola Valentino e Donatella Milani non erano esattamente "in bolla" con la voce, ma per Donatella come scusante c'è da dire che alcuni anni fa ha avuto dei gravissimi problemi alle corde vocali dai quali non si è mai ripresa. Altro personaggio che non reggo è stato Alessandro Siani in veste di ospite a parlare delle sue canzoni preferite con una serie di battute che non facevano ridere manco se ti facevano il solletico.
Ma vabbè, Carlo rideva per cortesia e comunque c'è chi lo considera un erede di Troisi solo perché ha azzeccato un film (Benvenuti Al Sud) e chi sono io per dire il contrario?
Per il resto il viaggio nella memoria musicale è stato piacevole con Marco Ferradini, Paolo Vallesi, Tiziana Rivale, Caroline Loeb, Drupi e un omaggio a Lucio Battisti fatto da Gianmarco Carroccia, cantautore talmente sosia di Lucio che nella mia testa avevo pensato che ne arrivasse dal Tale E Quale Show sempre di Conti, uomo piovra della Rai che firma anche quel DALLA STRADA AL PALCO condotto da Nek.
Insomma Carlo non se ne sta mai con le mani in mano alla faccia di chi invece crede che stia tutto il giorno spaparanzato a prendere il sole 😉.